sabato 20 giugno 2015

Perché sono stanco.

Perché sono stanco.

Dietro Gorée la sirena del postale suona l’hallali

Nella sera la luce freme sui muri rosati, sul mare, sul cielo.

Una barca bianca se ne va laggiù verso il Sud grigiazzurro

E io sono triste, verso Nagaski la triste, verso Valparaiso la bella

Sì verso Rio de Janeiro, dove le mulatte sono fragranti orchidee.

Sì, sono stanco che sia l’ora del tè, il giardino luminoso

Intorno alla fontana, sotto la statuetta d’Africa.

Il mio cuore è colore dell’ampelopsis, quando guardo i tuoi occhi-

memoria.

E sono stanco, non depresso! ma stanco

Di non andare in nessun luogo quando mi strazia la voglia di partire.

 

(Léopold Sédar Senghor)

venerdì 24 aprile 2015

Leggendo Szymborska.

Foglietto illustrativo.

Sono un tranquillante,
Agisco in casa,
funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all'udienza,
incollo con cura le tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d'acqua.
So come trattare l'infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l'ingiustizia,
rischiarare l'assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà chimica.
Sei un uomo (una donna) ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto che la vita va vissuta con coraggio?
Consegnami il tuo abisso -
lo imbottirò di sonno.
Mi sarai grato (grata) per la caduta in piedi.
Vendimi la tua anima.
Un altro acquirente non capiterà.
Un altro diavolo non c'è più.


Poesia di Wislawa Szymborska.

giovedì 26 marzo 2015

Lady Lazarus.

L'ho rifatto
Un anno ogni dieci
Ci riesco

Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
Splendente come un paralume nazi,
Il mio Piede destro,

Un fermacarte
La mia faccia un anonimo, pefetto
Lino ebraico.

Via il drappo,
O mio nemico!
Faccio forse paura?

Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
In un giorno svanirà.

Presto, ben presto la carne
Che il sepolcro ha mangiato si sarà
Abituata a me

E io sarò una donna che sorride.
Non ho che trent'anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.

Questa è la Numero Tre.
Quale ciarpame
Da far fuori ogni decennio.

Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante noccioline
Si accalca per vedere

Che mi sbendano mano e piede
Il grande sporgliarello.
Signori e signore, ecco qui

Queste sono le mie mani,
I miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,
Ma pure sono la stessa, identica donna.
La prima volta sucesse che avevo dieci anni.
Fu un incidente.

Ma la seconda volta ero decisa
A insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa

Come una conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
E staccarmi via i vermi come perle appiccicose.

Morire
É un'arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio un modo eccezionale.

Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione.

È facile abbastanza da farlo in una cella.
È facile abbastanza da farlo e starsene lì.
È il teatrale

Ritorno in pieno giorno
A un posto uguale, uguale viso, uguale animale
Urlo divertito:

"Miracolo!"
È questo che mi ammazza.
C'è un prezzo da pagare

Per spiare le mie cicatrici, c'è un prezzo da pagare
per auscultare il mio cuore
Eh sì, batte.

E c'è un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
O un po' del mio sangue

O di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr nemico.

Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d'oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.

Cenere, cenere
Voi atizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate

Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.

Herr Dio, Herr Lucifero,
Attento,
Attento.

Dalla cenere io rinvengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.

(Sylvia Plath)

sabato 28 febbraio 2015

Quello che facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi.

"Nel corso della giornata, interpretiamo tutto quello che ci succede in modo da non cambiare mai: la colpa non è mai nostra, è sempre degli altri. L'Io personale trasforma tutto a proprio vantaggio. Deformiamo costantemente la realtà per trovare scuse che giustifichino i nostri comportamenti.
Rinchiusi in noi stessi, non ci accorgiamo di essere la causa dei nostri problemi. Ci comportiamo come parassiti del mondo, sempre pronti a chiedere e mai a dare, con l'atteggiamento del cinico soddisfatto, finché a un tratto il mondo ci rifiuta, i nostri progetti si sgretolano e incolpiamo del nostro fallimento la malasorte. Non si può vivere cibandosi dei frutti altrui senza mai seminare.
[...]
Certe persone si credono in diritto di fare qualunque cosa, anche mettere un elefante nel panino. Minimizzano quello che in loro va male, pensando sia inoffensivo e comunque non riprovevole [...]
Per quanto tempo continueremo a interpretare la parte degli innocenti giustificando i nostri gesti e scaricando le nostre responsabilità sul prossimo? Ci sentiamo tranquilli perché minimizziamo i problemi. Diciamo che non è grave. Ma allora perché quello che fa qualcun altro è grave, secondo voi? Vediamo il panino di prosciutto nell'occhio altrui, ma non il panino di elefante nel nostro...
Quello che facciamo agli altri lo facciamo a noi stessi."

(da Cabaret mistico, di A. Jodorowsky)

mercoledì 25 febbraio 2015

Vizio di Protagonismo.

Personalissimo concetto di "Vizio di Protagonismo":

Il "Vizio di protagonismo" è un difetto di lettura e interpretazione che, dettato da un'alterazione della struttura del pensiero, pregiudica il valore di atti o fatti che compongono la realtà che viviamo o la realtà a cui assistiamo.
Il vizio di protagonismo dà luogo ad un'inesattezza della realtà percepita dal soggetto, aumentando in maniera sensibile il suo sentirsi coinvolto in fatti o atti legati alla realtà a cui assiste e nella quale, in verità, non è assolutamente contemplato.





lunedì 9 febbraio 2015

L'estate di Sylvia Plath.


Io sono verticale

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

(Sylvia Plath)
Photo: Roberta Trani, 2013.


domenica 8 febbraio 2015

Fotografia.



"La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito bla-bla: 'tecnica', 'realtà', 'reportage', 'arte', ecc.
Non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il particolare risalga da solo  alla coscienza affettiva."

(Roland Barthes, La camera chiara.)